Come tentare di aiutare l’Africa.
Carlo Cavanna
L’Africa, se ne parla solo quando crea problemi a noi, poi viene nuovamente
dimenticata.
Però è sempre stata terra di saccheggi, prima per deportazioni
di schiavi verso l’oriente e successivamente verso l’america, poi per
le importanti materie prime.
Ma per cercare di aiutarla bisogna conoscerla direttamente, viverla sul
posto, capire le vere necessità senza voler imporre nulla.
Non servono megaprogetti confezionati da “esperti” pagati da multinazionali
con l’unico scopo di soddisfare le proprie idee di sviluppo che quasi
sempre non coincidono con le reali esigenze dei potenziali fruitori. Frequentando
da quasi trentai anni l’Etiopia, insieme ai miei compagni di viaggio,
ho avuto occasione di vedere impianti di acquedotti che collegavano le
sorgenti a vari villaggi in sequenza con condutture metalliche di decine
di chilometri e con belle fontane dotate di numerosi rubinetti. Molto
bello, peccato che dopo pochi anni, al primo intasamento di un tubo, nessuno
era in grado di ripulirlo e così dopo l’abbandono i rubinetti in
ottone sono finiti per diventare anellini e collane. In Senegal un nostro
amico ha verificato il fallimento di vari impianti di pozzi per l’acqua
con pompe elettriche immerse. E’ bastata la mancanza di un lubrificante
per abbandonare tutti i pozzi. Tutti denari buttati al vento, meglio i
pozzi con pompe a mano che fra l’altro costano molto meno. Molti hotel
moderni, costruiti con le ultime novità del settore, accusano problemi
anche seri già dopo il primo anno: sgocciolio da tutti i rubinetti,
sciacquoni inefficienti, rubinetti che non stanno fermi, impianti idraulici
in perdita nei muri, scaldabagni montati a rovescio e inefficienti e così
via. Quello che serve dopo la realizzazione di un progetto è costituire
un gruppo di buoni tecnici anche manutentori, come elettricisti, idraulici,
falegnami, fabbri e muratori.
La chiave sta nella parola “cultura”, ovvero trasmettere gradualmente
gli insegnamenti prodotti dopo anni di esperienze, perché è
inutile costruire all’occidentale se poi non si fa la manutenzione all’occidentale.
Come esperienza personale in Etiopia, io ebbi occasione di aiutare un
ragazzo quattordicenne dal nome Elias, propostomi da un frate cappuccino,
al quale si era gravemente ammalato il padre e versava in misere condizioni
economiche. Elias doveva iniziare meritatamente le Scuole superiori ma
a causa dell’accaduto avrebbe dovuto lasciare la scuola e diventare contadino.
La cifra annua per il sostegno era modesta e io accettai e da allora proseguì
ad aiutarlo per tutto il percorso scolastico. Tornando tutti gli anni
per svolgere le mie ricerche etno-antropologiche verificavo i suoi risultati
e così fino alla laurea in Ingegneria civile. In quel periodo riusciva
ad insegnare in una scuola elementare per 4 giorni a settimana e gli altri
3 giorni si recava con il pullman a 120 chilometri di distanza ad Arba
Minch sede dell’Università. Si è veramente guadagnato la
laurea e subito ha trovato lavoro in una grande azienda con un ottimo
stipendio. Si è potuto sposare e dopo due figlie è arrivato
un bel maschietto. Dal momento che ormai mi considera un secondo padre,
lo scorso anno ha voluto che facessi il padrino nella cerimonia di battesimo
del nuovo venuto, per me un vero onore. Questa famiglia ora sta veramente
bene e non penserà mai di emigrare in Europa.
In Etiopia i Padri Cappuccini in particolare, hanno costruito Scuole.
Una scuola nella città di Soddo dedicata esclusivamente alle femmine,
in considerazione del fatto che nel non lontano passato le femmine ne
erano escluse. Ora dalle elementari fino alle superiori vede la presenza
di oltre 1200 ragazze. Sempre gli stessi Cappuccini fondarono un grande
Scuola dei mestieri alla quale contribuì la Confartigianato italiana.
Progetto molto importante perché riusciva a formare dei lavoratori
come falegnami, idraulici, fabbri e meccanici che potevano così
trovare un posto di lavoro dopo la formazione. Questo è quello
che servirebbe quando si parla di “Piano Mattei”. Questi progetti andrebbero
ancora più incoraggiati e forse molti giovani con un lavoro a casa
propria non penserebbero mai di lasciare la loro terra su un barcone.
La mia associazione ha avuto modo di realizzare vari progetti di aiuti
umanitari dalla lotta contro la malaria, agli insegnamenti sulla igiene
materno infantile, alla costruzione di strade e di invasi per uso irriguo,
alla messa in opera di impianti idraulici ed elettrici per le scuole del
sud Etiopia.
Nel prossimo novembre andremo a svolgere proprio un altro progetto relativo
ad una Scuola di Sura Kojo, nel Wolayta. Il governatore locale, informato
delle nostre conoscenze etno-antropologiche, ci ha chiesto di collaborare
nella realizzazione di una sala dove saranno esposti oggetti etnici del
loro passato, locandine sull’evoluzione umana nella Rift Valley, campioni
geologici e mineralogici. Insomma un concreto apporto culturale all’insegnamento
che cercheremo di supportare anche economicamente magari trovando qualche
aiuto fra enti e privati del grossetano che potranno contattarci tramite
email all’indirizzo carlocavanna1@gmail.com o visitando il sito web www.ethiopiatrekking.it
dove troveranno anche le coordinate bancarie dell’associazione.
|